
I bambini hanno delle crisi emotive. Non amo molto la parola crisi perché associata a qualcosa di inevitabilmente negativo, ma amo ancora meno il termine capricci. Trovo più semanticamente neutro come l’inglese traduce questo fenomeno in ‘tantrum’. Che i capricci non esistono ce lo diceva già Maria Montessori negli anni Trenta del Novecento quando affermava: ‘Se (il bambino) trova un ostacolo possono manifestarsi reazioni violente, disperazione che noi giudichiamo senza causa e chiamiamo capricci. I capricci sono espressioni di una perturbazione interna, di un bisogno insoddisfatto che crea uno stato di tensione e sono un tentativo del bambino di chiedere e di difendersi.’ Sono momenti fisiologici, è anche attraverso quelle crisi che il bambino struttura la sua personalità e sostiene il suo sviluppo emotivo e cognitivo. Usciamo dall’ottica del voler fermare quelle crisi e impariamo a navigarci dentro, a so-stare dentro quella tempesta emotiva che sottende ad un bisogno profondo del bambino. Quella esplosione è solo la parte manifesta di un bisogno più profondo, che va compreso ma soprattutto accolto. Ciò su cui possiamo e dobbiamo lavorare è la nostra reazione, la nostra postura di fronte a quelle crisi. Quale posizione assumiamo? Quale espressione abbiamo? Che tono di voce abbiamo? Osserviamoci e cerchiamo di capire cosa ci attiva di quel comportamento. Per ognuno potrebbe essere un aspetto diverso ad essere maggiormente attivante: per molti il problema è quando le crisi avvengono in presenza di altre persone e si sentono giudicati, per altri il pianto è qualcosa di intollerabile e da bloccare all’istante, per altri ancora le urla scatenano ricordi o automatismi legati alla propria infanzia. Ciò che spesso attiva il genitore e porta a reagire alla rabbia con altra rabbia è il contagio emotivo. La mancata presa di distanza dall’emozione del bambino. Non farsi contagiare dalla rabbia, dalla tristezza, dalla frustrazione non vuol dire non essere empatici, anzi, significa porre una sana distanza tra l’emozione del bambino e la nostra emotività. È questa presa di distanza, il dirsi ‘questa non è la mia emozione’ che ci può far essere il genitore guida, calmo, presente di cui il bambino ha bisogno in quei momenti. Se invece ci lasciamo travolgere da quella rabbia non riusciamo più ad essere sostegno ma diventiamo parte della tempesta. Non siamo il comportamento e non siamo l’emozione del nostro bambino. Questa sana presa di distanza ci fa uscire dalla reazione e ci porta ad agire in maniera più consapevole. Come si fa? È difficile, è un esercizio, è strutturare uno strumento di gestione emotiva che forse non abbiamo. Non ci riusciremo sempre, ma piano piano diventerà un’abitudine, una pratica che entrerà a far parte di noi. E sarà dono prezioso sia per noi che per i nostri bambini.